Il legame tra alimentazione ed emozioni è l’argomento di questo interessante libro. Emozioni e cibo hanno un collegamento molto stretto. I destinatari del libro di Edward Abramson sono chi è in sovrappeso. Ed anche chi ha disturbi alimentari lievi o a chi vive momenti in cui il cibo diventa una compensazione. In sostanza, si rivolge a chi desidera capire e forse modificare la relazione tra alimentazione ed emozioni.
Uno dei vari esempi portati per studiare il collegamento tra Emozioni e cibo è la storia di una giovane donna e della morte dell’amata zia. Il cibo, per la protagonista, è uno strumento per sopire emozioni legate alla perdita, al senso di impotenza che devasta chi rimane. È diventato per lei lo strumento per riconnettersi con la zia appena morta, la sorella del padre già deceduto. È il mezzo per rendere accettabili frasi come ‘non devi piangere’ che reprimono stati d’animo di disagio.
CONFONDERE IL CIBO COI SENTIMENTI
Non c’è bisogno di un lutto per scatenare un’abbuffata. Quando si vivono dei sentimenti come (per approfondire) (per approfondire) delusione, frustrazione, una possibile risposta è di usare ciò che si ha vicino. Diventa allora facile sviluppare l’abitudine di ‘provo dolore=mangio’. Infatti, episodi di difficoltà vissuti e stati d’animo non consapevolizzati possono indurre a mangiare per sentirsi meglio anche quando non si ha fame. La confusione relativa a emozioni e cibo origina la fame emotiva.
Pochissime sono le persone che non subiscono questa condizione ovvero un “comportamento alimentare legato ad una determinata situazione emotiva”. Molti sono coloro che utilizzano il cibo per consolarsi e non solo per alimentarsi. Se ci pensiamo l’attività del mangiare è complessa ed articolata. Essa richiede una certa quantità di tempo e ha delle valenze sociali. I pasti sono punti di riferimento importanti sia nella nostra giornata che a livello pubblico. Infatti, quando festeggiamo un compleanno, un successo lavorativo o un rito religioso spesso usiamo il cibo.
FAME EMOTIVA
Le emozioni che possono indurre a mangiare sono molte: ansia, stress, conflitti emozionali, depressione, noia, solitudine e rabbia. Quanto a dire che non sono solo gli stati d’animo profondi che definiscono il legame tra cibo ed emozione. Anche le seccature quotidiani possono fare da molla verso il cibo. L’autore parla di studi clinici da cui è emerso che talvolta sono anche piccole frustrazioni quotidiane che inducono ad abbuffarsi.
Quando ciò si verifica la persona sente forte lo stimolo di servirsi degli alimenti per allontanare quei sentimenti spiacevoli. Dopo il consumo del cibo proibito, magari durante una dieta, la persona si lascia andare. I sensi di colpa o di vergogna si presentano inducendo pensieri come “tanto sarò sempre grasso” o “non valgo nulla”. Atteggiamento mentale per poter continuare a mangiare per raggiungimento di una sensazione di pienezza.
In sostanza, “le emozioni giocano un ruolo importante nella maggior parte dei casi […], ma in genere non ne costituiscono la sola causa”. Agli stati d’animo si aggiungo fattori ereditari, scelte gastronomiche, la dimensione delle cellule adipose, le abitudini alimentari e l’attività fisica. Infine, l’autore aggiunge che non si può pensare che esista un unico motivo che determina il sovrappeso. Invitando, al contempo, ad iniziare un processo di autoconsapevolezza per agevolare la perdita di peso e il suo mantenimento.
SET POINT E FAME EMOTIVA
L’ostinarsi a rincorrere un ‘peso forma’ etero indotto induce sofferenza e frustrazione. Un peso perfetto a cui tutti dobbiamo allinearci è una forzatura che non tiene conto delle caratteristiche di ognuno. Mettendosi a dieta, pur realizzando buoni risultati, la persona “finirà con il ritorno poi al peso programmato dalla sua genetica” Così affermano i sostenitori della teoria del Set Point.
La filosofia del Set Point presuppone esita un ‘punto di riferimento’ per ogni persona. Ovvero un personale peso ideale che non dipende da tabelle o parametri di bellezza del momento. La persona può mettersi a dieta, ma se il suo set point non è rispettato, il suo corpo poi lo raggiungerà. Bisogna imparare ad accettare il sovrappeso come un fatto normale smettendo di spingere le persone grasse a diventare magre.
FAME EMOTIVA E DIETA
Da degli studi è emerso che per il 75% la fame emotiva interferisce con qualsiasi programma dimagrante. Quando si comincia una dieta bisogna fare i conti con aspetti genetici. Se la costituzione è robusta, quindi geneticamente impostata per essere in sovrappeso, non ha senso accanirsi. Tra gli altri aspetti, bisogna anche tenere contro dell’ambiente circostante. Esso può influenzare significativamente. Inducendo a dimagrire, indossare indumenti che facciano sembrare meno grassi o rispettare antichi rituali familiari secondo cui un dolce è un premio, etc.
Tali rilevazioni ci fanno comprendere che le conseguenze della fame emotiva vanno al di là della semplice sgarrata. L’iniziare una dieta significa impostare la propria vita in funzione di questa scelta. Amici e familiari sanno che la dieta è stata iniziata, i successi o la loro mancanza diventano argomento di conversazione. Se dopo i primi progressi arrivano i momenti di stop, questi possono essere sentiti come fallimenti. Attivando fasi di auto recriminazione, sensi di colpa, imbarazzo e depressione. In questo modo si mettono così i semi del fallimento di questa dieta e di quella dopo.
L’autore caldeggia la necessità di scendere da questa giostra in cui l’alimentazione è legata alle emozioni. Poiché la fame emotiva definisce il momento in cui la dieta viene interrotta ovvero che si è perso il controllo e l’autostima si deteriora (per approfondire). Ecco perché egli sostiene che è primario imparare a gestire la fame emotiva per favorire un effettivo dimagrimento. In quanto nessuna dieta funziona se si reagisce alle emozioni mangiando.
CORPO E DIETA
Quando ci si mette a dieta stiamo dicendo a noi stessi che qualcosa di noi non ci piace. Il nostro corpo è troppo qualcosa … grasso, goffo, flacido … quindi inaccettabile. Se si fosse contenti di un corpo così come è non ci si sottoporrebbe al travaglio fisico e psicologico di una dieta. Il problema è che corpo che non piace è il proprio. Non è possibile separarlo dal resto. Non è possibile scindere la mente dal corpo e pensare di garantirsi il benessere.
Ed allora facciamoci una domanda. Posso amare un corpo che mi rappresenta nella vita se in esso non mi riconosco e non lo accetto? È una domanda scomoda, che ci mette dinnanzi a difficoltà in termini di amor proprio. In sostanza, la dieta con tutti i suoi problemi emotivi ci obbliga a considerarci in modo reale e a farci i conti.
AMOR PROPRIO
Essere a dieta e non avere una buona considerazione di sé, porta a percepirsi come persone di poco valore che non meritano nulla. Quante volte si è declinato un invito o il fare un viaggio? Comprarsi un vestito o andare ad una festa? Andare in bicicletta o a ballare fino a quando non si perde almeno 5 kg? Cosa notiamo? Questi sono atteggiamenti autopunitivi. Mi punisco, perché tanto so che non rispetterò la regola, quindi preventivamente mi castigo.
Si attivano, di conseguenza, poi atteggiamenti di rabbia e di ribellione. Il precludersi ogni attività piacevole può essere un vero e proprio boomerang. Infatti, rendere possibile delle attività gratificanti può aiutare chi fa una dieta. In quanto sostiene nel “preservare i mangiatori emotivi dal ricorrere al cibo quando sono sottoposti a stress”.
ALIMENTAZIONE E AUTONUTRIMENTO
Alimentarsi non è solo mangiare del cibo, ma anche nutrire altre parti oltre al corpo. Quando si è in procinto di aprire il frigo ed abbuffarsi, si può spostare l’attenzione in altri ambiti del vivere. In questo modo da un automatismo alimentare possiamo attivare abitudini di auto nutrimento. Ciò significa prendersi cura di nostre parti dolenti che cercano di mostrarsi, ma che vengono tacitate col cibo.
Si può sostituire la fame emotiva con una attività piacevole. Facendo questa scelta si va ad attivare un miglioramento dell’umore. È prendersi carico della propria crescita personale e motivazionale. Creare meccanismi interiori di tipo proattivo significa ridurre la ricaduta dopo la fase dimagrante. Essere benevoli con se stessi permettendosi qualche divertimento, può diminuire la fame emotiva e rendere la dieta un successo. È come dire a sé stessi che ci si può amare e che ci si può gratificare.
AUTONUTRIZIONE.
L’autonutrizione è un atteggiamento rivolto a se stessi che implica un prendersi cura. E’ indirizzare l’attenzione verso di sé, facilitando sensazioni di rassicurazione, tolleranza e sostegno. È la capacità di ricavare piacere dalle esperienze positive e sopravvivere psicologicamente a quelle negative (per approfondire). Comprendere ciò significa interrompere un atteggiamento involutivo di chi fa una dieta e dinnanzi a difficoltà emotive reagisce interrompendola.
Abbandonare un percorso nutrizionale alle prime cadute significa cessare si auto nutrirsi emotivamente. Cosicché tolleranza, amorevolezza e disponibilità nei propri confronti verrebbero azzerate e le eventuali cose positive concretizzate minimizzate o ignorate.
IN SINTESI
Decidere di fare una dieta significa modificare il corpo. Occorre tener conto del nostro personale set point, delle abitudini alimentari familiari, della genetica e dello stile di vita. Ma ciò ancora non è sufficiente! Non possiamo pensare solo al corpo. Dobbiamo prenderci cura anche delle emozioni, pensieri, desideri ed immagini interiori che si muovono caoticamente in noi.
Alimentare e Nutrire definiscono comportamenti che sono indirizzati rispettivamente al corpo e alla mente. Nutrire il bisogno di piacere, essere accettati ed amati è imprescindibile. (per approfondimenti)Ogni giorno abbiamo bisogno di calorie per garantire carburante al corpo. Al contempo ogni giorno abbiamo bisogno di gestire la propria emozionalità, le proprie aspettative e i propri desideri.