
Aprirsi alla vita è l’inizio della ri-nascita di sé. E’ iniziare un dialogo e profondo con sé che farà emergere il nodo alla gola che attanaglia. Perché smettere di annullarsi nel ‘fare’, ‘dimostrare’ o ‘cercare di essere’ è pacificare il senso di vuoto e di non appartenenza. Porsi con apertura verso di Sé significa accogliere la rabbia, la paura, la vergogna e il senso di colpa. Un mix emotivo che fa sentire ‘imperfetta’. Finalmente, tutto ciò per riconoscere la fiducia in sé.
Permettersi di guardare in faccia quel Falso Sé, attivato per proteggerci, è iniziare a credere in noi. Ma ancora più significativo è ascoltarlo. Non è allontanando questa entità interiore frammentata che sparisce la sofferenza. Può accadere, invece che, se ci poniamo nella condizione di integrarla, accudirla ed amarla qualcosa cambi. Questo integrare, accudire ed amare significa rivolgersi a Sé con apertura, compassione e benevolenza. E’ avere fiducia in sé.
SUBPERSONALITA’ “IL CARCERIERE”
Le subpersonalità o Falso Sé si strutturano nei primi anni di vita per sopperire a difficoltà che emergono nel confrontarsi col mondo circostante. Michela Marzano descrive il suo falso sé che l’ha condotta all’anoressia in “Volevo essere una farfalla”. Scrivendo afferma ”odiavo quella bambina che mi portavo dentro e che piangeva. La insultavo perché non era forte. Perché si lasciava abbattere. Perché si lamentava.” Odiava quella ‘immagine interiorizzata di sé’ che non coincideva con quella voluta dal padre: essere ‘la più brava’.
In sostanza, tale condizione, che nasce nei primi anni di vita, è legata al giudizio. Ciò che gli altri mi dico di essere è determinante. Nel Taoismo si dice che l’Uno per conoscersi ha bisogno del Due. L’Altro ci fa da specchio, ci rimanda frammenti della nostra immagine. Purtroppo, non sempre questa interazione è priva di distorsioni e manipolazioni. Pertanto, il come queste informazioni vengono interiorizzate fa la differenza. Se dall’autonoma interpretazione di tali giudizi emerge un’immagine deludente reiterata nel tempo, si ha la nascita di una subpersonalità. Ciò è un passo importante per decretare la mancanza di fiducia in sè.
Meccanismo auto protettivo che si attiva per effetto dell’interpretazione del giudizio che in autonomia ‘io faccio di me’. Il bisogno di essere come l’Altro mi vuole mi induce ad adattarmi, a stabilire regole e comportamenti ferrei. Ciò rendere, in sostanza, possibile l’attivazione de ‘Il Carceriere’. Immagine interiore che agisce ogni volta che c’è necessità e che progressivamente costruisce una gabbia dorata. Un processo di dis-amore che frammenta e svilisce la persona inibendola sia rispetto a sé che agli altri. In tal modo, continua ad alimentarsi la non fiducia in sè.
DIALOGARE CON “IL CARCERIERE”
La stessa Marzano ci apre a prospettive diverse. “Quando ci rendiamo conto che le persone che amiamo sono in fondo diverse da quello che pensavamo, che noi stessi non siamo esattamente quello che pensavamo di essere.” Tale consapevolezza è un punto di svolta verso il possibile dialogo con se stessi. I genitori non sono perfetti, non sono degli Dei. Tutte le’ figure importanti’ nella nostra vita sono semplicemente Esseri Umani, quindi fallaci ed imperfetti. Noi stessi siamo umani, solo e semplicemente Esseri Umani. Inizia così un dialogo che fa progressivamente cessare quell’odio e che annulla ogni possibile disistima per sé. Aprendosi uno spiraglio alla fiducia in sè.
È’ nella condivisione con se stessi che si attiva la ri-nascita di un rapporto rinnovato. Non è negando o zittendo il Carceriere che si progredisce. Anzi fare come se questa nostra parte non esistesse implica la sua mobilizzazione. Quando qualcosa ci viene proibito ci diamo da fare per poterlo ottenere? Certo che si! È la stessa cosa per una subpersonalità, più la escludiamo più cercherà di farsi notare. Più si cerca di negarla, più diventa inconsolabile. Un <troppo> che prima o poi straripa.
ASCOLTARE PER NON RECRIMINARE
Ascoltare Il Carceriere significa lasciargli esprimere la sua inconsolabile solitudine, la sua tristezza e il suo bisogno di amore. Ascolto empatico verso se stessi che permette il comprendersi. Non serve a nulla recriminare su quello che non si è avuto. Il passato è ieri e ieri non va confuso con l’oggi. Può essere, invece, utile dare vita ad una nuova visione di sé e del mondo. “Se non io chi? Se non ora quando?” ci dicono le scritture. A ricordarci che tale trasformazione è possibile partendo da sé. Io e nessun altro è in grado di accogliermi per ciò che veramente sono. Consapevolezza che emerge dallo smettere di sognare un futuro improbabile in cui tutto andrà bene. Futuro sognato ed idealizzato che mai arriverà. E finalmente ci si comincia a donare la possibilità di avere fiducia in sè.
ACCETTARE LE IMPERFEZIONI
“Per amare, si deve prima di tutto imparare ad accettare le proprie imperfezioni e le proprie fratture. Bisogna essere capaci di tolleranza. E per essere tolleranti, si deve imparare l’umiltà.” ci dice Michela Marzano. ed aggiungendo che “Come un albero che cerca invano di resistere alla tempesta. Mi sono piegata per non spezzarmi. [… ] Anche a forza di piegarmi ho cominciato ad odiare la vita. A forza di piegarmi stavo per morire. Finché non ho accettato di spezzarmi e di lasciare che il vento mi travolgesse.” Espressione del suo urlo di dolore e dis-amore per sé. (per approfondimenti)
Purtroppo, il cambiamento di se stessi è un processo che chiede di attraversare la ‘notte buia dell’anima. Sweet Chestnut è un fiore di Bach che denuncia il processo evolutivo che la persona sta vivendo. È una lotta combattuta fino allo stremo delle forze. Ha tentato di tutto anche l’impossibile, ma ora sente di non poter fare altro che rassegnarsi. Ora, è giunta al limite della sopportazione umana e non ha più la forza di lottare. Il desiderio diventa la morte. Ma normalmente, è quando si giunge al limite che una spinta interna evolutiva arriva: la fiducia in sè.
SI PUO’ FARE
Quando arriviamo sul bordo del burrone siamo chiamati a fare una scelta. Si può decidere di fare qualcosa, una qualsiasi cosa. Come ci canta Branduardi nella sua canzone Si può fare: possiamo fare tutto e il contrario di tutto.
si può prendere o lasciare / puoi correre, volare./ Puoi cantare, puoi gridare / puoi vendere, comprare / puoi rubare, regalare / puoi piangere, ballare /
Si può fare, si può fare / puoi prendere o lasciare / puoi volere, puoi lottare / fermarti e rinunciare.(per approfondimenti)
In sintesi, sono io che posso scegliere, anzi che sono chiamata a scegliere. Ma cosa? Stabilire se rimanere nella prigione dorata che ho creato ed alimentato per anni. Oppure stabilire di attivare un processo trasformativo da cui far emergere la propria Essenza. Il mio Vero Sé. Cessando quel compromesso unilaterale che ha significato piegarsi e vivere in angoscia e solitudine. Donandosi, invece, la possibilità di cadere e sbagliare “e poi ricominciare […] e poi ancora riprovare”. Smettendo di sentirsi sbagliati, incapaci e non degni di amore. Lasciando andare quello stanco Carceriere, magari anche, ringraziandolo per il servizio fatto. E lasciando andare l’odio ovvero lasciando entrare la pace e la fiducia in Sé.